Le compagne e i compagni dell’associazione Sinistrarossoverde hanno deciso di aderire al Movimento della Sinistra democratica per il socialismo europeo. Si tratta di compagne e compagni della Lombardia, Piemonte, Friuli, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna. L’associazione Sinistrarossoverde continuerà il suo autonomo lavoro per l’unità e il rinnovamento della sinistra. L’adesione al Movimento, a cominciare dalla mia, che sono il coordinatore nazionale, sarà – com’è giusto che sia - individuale. Essa nasce da un percorso comune e condiviso.
Effettivamente ci sono oggi alcune condizioni per unire, rinnovandola, la sinistra italiana. Tutta, o la sua grande parte. La straordinaria manifestazione del 5 maggio a Roma promossa dal Movimento per la sinistra democratica per il socialismo europeo lo conferma. Ma occorre avere la consapevolezza che tale possibilità di unità è un fatto storico, mai avvenuto in passato.
La storia della sinistra italiana è storia di scissioni o di separazioni. Certo, vi sono state anche parziali convergenze e piccole fusioni. Penso alla confluenza del Psiup nel Pci, o alle fusioni fra Psi e Psdi. Penso alla grande aspirazione unitaria fra Pci e Psi nel dopoguerra, naufragata il 18 aprile. Penso ai timidi tentativi, mai trasformatisi in atti politici chiari, di unità con Psi all’inizio degli anni sessanta. Ma mai era avvenuto quello che può avvenire oggi. E cioè che, di fronte alla scomparsa dei Ds e dunque del più grande partito della sinistra italiana, si predispongano forze socialiste, comuniste, ex comuniste, ambientaliste, disposte a impegnarsi per l’unità della sinistra italiana.
Ciò che ha colpito maggiormente alla grande manifestazione dell’Eur del 5 maggio è stato l’entusiasmo. Chiamiamola passione, chiamiamola speranza. Perché ha colpito? Perché l’entusiasmo non era scontato. Ho partecipato nell’ultimo anno a un grande numero di iniziative politiche, alcune di avvio, di fondazione di qualcosa. Quell’entusiasmo non c’era. Come mai all’Eur sì? Io ho interpretato quella passione come la forma tramite cui si chiede di partecipare ai processi politici, e si pensa che tale partecipazione nel luogo chiamato Movimento di Sinistra democratica sia finalmente possibile.
La questione è essenziale perché non esprime un generico bisogno di fare qualcosa, ma manifesta la volontà di spezzare la più grande maledizione che è caduta sulla politica italiana e quindi anche sulla sinistra italiana. Questa maledizione è la rottura del rapporto fra dirigenti e diretti, fra rappresentanti e rappresentati.
Riconquistare la partecipazione è elemento fondamentale per restituire alla politica, alla nostra politica, il suo carattere di rappresentanza trasparente e condivisa di interessi sociali, a cominciare – e mi riferisco a una cosa modernissima – agli interessi dei lavoratori.
Se la partecipazione muore, la rappresentanza diventa arbitraria e la delega tende a trasformarsi in notabilato. Viceversa un meccanismo democratico, o quantomeno costituzionalmente democratico, funziona se c’è un circuito virtuoso fra delega, rappresentanza degli interessi, partecipazione. Invece nel vuoto di partecipazione, nell’evaporazione della rappresentanza, cresce l’antipolitica, le oligarchie, il populismo, cioè la destra italiana.
I processi in corso oramai da mesi fanno pensare che si sta chiudendo una fase politica, quella della cosiddetta Seconda Repubblica. Essa ha dichiarato fallimento e si è esaurita. Il sistema dei partiti della Seconda Repubblica, che aveva in sé, per ragioni obiettive, il tarlo del personalismo, è via via degenerato al punto che la grande parte dei partiti si sta modificando, è in via di ricomposizione o di scioglimento. Quel sistema dei partiti non è stato in grado di svolgere la sua funzione propria di collegamento fra società e istituzioni, come invece era avvenuto durante la cosiddetta Prima Repubblica. Al contrario, è sorta dentro la politica una nuova questione morale. E’ fallita un’idea della governabilità che, come chiave per essere al passo della modernità, umilia la rappresentanza.
Ma la Seconda Repubblica, per ciò che riguarda la sinistra, si era avviata anche con lo scioglimento del Pci e la dissoluzione del Psi. Oggi quella fase si è chiusa. E si è chiusa anche per la nascita del Partito Democratico, che è tutta iscritta nel cambiamento di fase attuale. Essa non è un accidente della storia. E’ un fatto enorme che avvia il cambiamento del sistema politico italiano e apre un vuoto a sinistra. Non convince chi sostiene che comunque si sarebbe aperta la fase dell’unità a sinistra, a prescindere dalla nascita del Partito Democratico. Certo, le spinte all’unità c’erano. Certo, c’erano e vi sono forze generose che da tempo si battono per questa prospettiva. Ma l’elemento concretamente - cioè politicamente - determinante per concretizzare la prospettiva dell’unità a sinistra, è stato la nascita del Movimento della Sinistra democratica. Esso non è un elemento in più nella costellazione delle forze che propendono per l’unità a sinistra. E’ invece il fatto politico senza il quale la prospettiva stessa dell’unità a sinistra sarebbe stata monca, parziale, forse politicamente impossibile.
In questo crogiuolo sono avvenuti i fatti politici più importanti per la sinistra italiana negli ultimi mesi: le lungimiranti aperture di Bertinotti, la faticosa costruzione di Sinistra Europea, il lavoro prezioso di varie associazioni, fra cui Sinistrarossoverde, per avviare le nuove fondamenta di un pensiero critico della sinistra come condizione per la sua unità, l’ampio dibattito politico nell’area storica dei socialisti italiani. Segnalo a questo proposito, al convegno promosso da Occhetto e dal Cantiere a Roma l’11 maggio, l’intervento positivo e unitario di Boselli.
Il giorno dopo il 5 maggio è apparso, da esponenti di altre forze di sinistra, qualche distinguo. Non c’è da stupirsi. C’è una spinta all’appartenenza e all’identità che non può essere snobbata. Ma c’è una contraddizione fra i tempi lunghi dei partiti e l’urgenza unitaria. C’è una grande attesa nella nostra gente. Se tale attesa fosse frustrata sarebbe un disastro. Ma l’urgenza deriva anche dalla situazione politica scivolosa e difficile. Se questa precipitasse con una sinistra ancora divisa, l’alternativa non sarebbe la vittoria di questa o quella identità preesistente, ma la marginalizzazione della sinistra italiana.
Occorre perciò, con pazienza e determinazione, avviare la costruzione di una comune appartenenza. L’identità storica di ciascuno è un fatto nobile ed ineliminabile. Ma non può essere vissuta come un’icona, separata dalla realtà, o come un’ancora di salvezza. L’ancora pesa, e in qualche caso può far affondare. Occorre lavorare per una nuova identità collettiva che sarà un di più, non un di meno delle precedenti e parziali identità.
Con la costituzione di Sinistra democratica si può avviare un processo che rompa l’incantesimo delle vecchie e nuove divisioni della sinistra italiana. Ma l’incantesimo si rompe solo se tutte le culture politiche si fanno protagoniste di una forte e radicale innovazione, non per nuovismo, ma perché è il mondo ad essere fortemente e radicalmente cambiato. E’ tornata la guerra, e sembra senza ritorno. Il lavoro salariato, per la prima volta nella storia, si è universalizzato. La contraddizione uomo natura sta esplodendo, dichiarando il fallimento dell’idea positivistica della sviluppo. Occorre un’idea alternativa e popolare. Chi, se non una sinistra unita e nuova la può costruire?
Per questo la possibilità dell’unità a sinistra non è nel sommare ciò che c’è, ma nel sintetizzare innovando. Ciò che c’è ha del buono, ma anche spinte alla divisione, propensioni alla nicchia, un modo di far politica che dobbiamo radicalmente cambiare. Non basta parlare di sinistra senza aggettivi. Occorre praticarla. L’errore più grave sarebbe parlare di unità e poi decidere chi ci deve stare, chi non ci deve stare, chi è ambiguo. Attenzione alle forme unitarie che sono solo la somma dell’esistente. Ci dev’essere un salto di qualità.
Si sta avviando una fase di transizione che va accelerata. Mi piace pensare a una prospettiva in cui si dia vita ad una formazione politica. Nominiamola: un nuovo partito che sia un partito nuovo, ove si cambino, rispetto al passato, riti e miti, regole e rendite di posizione. Suggestiona pensare al Congresso di costituzione del Psi a Genova nel 1892. Allora leghe, fasci, società di mutuo soccorso, partiti territoriali, operai, intellettuali, contadini, diedero vita a un partito nazionale che avviava l’idea del partito di massa, faceva della storia della sinistra un pezzo essenziale della storia dell’Italia e della sua unità, cambiava il rapporto fra popolo e politica. Certo, la storia non si ripete, né noi vorremmo ripeterla. Ma con partiti, pezzi di partiti, movimenti sindacali, associazioni di massa e d’opinione, cooperative, volontariato, intellettuali, persone in carne ed ossa, si potrebbe avviare un processo per qualche aspetto analogo.
E’ con questo spirito e con questa volontà politica che entriamo in Sinistra democratica. Portando con noi l’entusiasmo e la passione che abbiamo vissuto insieme a tanti altri il 5 maggio.
di GIANFRANCO PAGLIARULO
Effettivamente ci sono oggi alcune condizioni per unire, rinnovandola, la sinistra italiana. Tutta, o la sua grande parte. La straordinaria manifestazione del 5 maggio a Roma promossa dal Movimento per la sinistra democratica per il socialismo europeo lo conferma. Ma occorre avere la consapevolezza che tale possibilità di unità è un fatto storico, mai avvenuto in passato.
La storia della sinistra italiana è storia di scissioni o di separazioni. Certo, vi sono state anche parziali convergenze e piccole fusioni. Penso alla confluenza del Psiup nel Pci, o alle fusioni fra Psi e Psdi. Penso alla grande aspirazione unitaria fra Pci e Psi nel dopoguerra, naufragata il 18 aprile. Penso ai timidi tentativi, mai trasformatisi in atti politici chiari, di unità con Psi all’inizio degli anni sessanta. Ma mai era avvenuto quello che può avvenire oggi. E cioè che, di fronte alla scomparsa dei Ds e dunque del più grande partito della sinistra italiana, si predispongano forze socialiste, comuniste, ex comuniste, ambientaliste, disposte a impegnarsi per l’unità della sinistra italiana.
Ciò che ha colpito maggiormente alla grande manifestazione dell’Eur del 5 maggio è stato l’entusiasmo. Chiamiamola passione, chiamiamola speranza. Perché ha colpito? Perché l’entusiasmo non era scontato. Ho partecipato nell’ultimo anno a un grande numero di iniziative politiche, alcune di avvio, di fondazione di qualcosa. Quell’entusiasmo non c’era. Come mai all’Eur sì? Io ho interpretato quella passione come la forma tramite cui si chiede di partecipare ai processi politici, e si pensa che tale partecipazione nel luogo chiamato Movimento di Sinistra democratica sia finalmente possibile.
La questione è essenziale perché non esprime un generico bisogno di fare qualcosa, ma manifesta la volontà di spezzare la più grande maledizione che è caduta sulla politica italiana e quindi anche sulla sinistra italiana. Questa maledizione è la rottura del rapporto fra dirigenti e diretti, fra rappresentanti e rappresentati.
Riconquistare la partecipazione è elemento fondamentale per restituire alla politica, alla nostra politica, il suo carattere di rappresentanza trasparente e condivisa di interessi sociali, a cominciare – e mi riferisco a una cosa modernissima – agli interessi dei lavoratori.
Se la partecipazione muore, la rappresentanza diventa arbitraria e la delega tende a trasformarsi in notabilato. Viceversa un meccanismo democratico, o quantomeno costituzionalmente democratico, funziona se c’è un circuito virtuoso fra delega, rappresentanza degli interessi, partecipazione. Invece nel vuoto di partecipazione, nell’evaporazione della rappresentanza, cresce l’antipolitica, le oligarchie, il populismo, cioè la destra italiana.
I processi in corso oramai da mesi fanno pensare che si sta chiudendo una fase politica, quella della cosiddetta Seconda Repubblica. Essa ha dichiarato fallimento e si è esaurita. Il sistema dei partiti della Seconda Repubblica, che aveva in sé, per ragioni obiettive, il tarlo del personalismo, è via via degenerato al punto che la grande parte dei partiti si sta modificando, è in via di ricomposizione o di scioglimento. Quel sistema dei partiti non è stato in grado di svolgere la sua funzione propria di collegamento fra società e istituzioni, come invece era avvenuto durante la cosiddetta Prima Repubblica. Al contrario, è sorta dentro la politica una nuova questione morale. E’ fallita un’idea della governabilità che, come chiave per essere al passo della modernità, umilia la rappresentanza.
Ma la Seconda Repubblica, per ciò che riguarda la sinistra, si era avviata anche con lo scioglimento del Pci e la dissoluzione del Psi. Oggi quella fase si è chiusa. E si è chiusa anche per la nascita del Partito Democratico, che è tutta iscritta nel cambiamento di fase attuale. Essa non è un accidente della storia. E’ un fatto enorme che avvia il cambiamento del sistema politico italiano e apre un vuoto a sinistra. Non convince chi sostiene che comunque si sarebbe aperta la fase dell’unità a sinistra, a prescindere dalla nascita del Partito Democratico. Certo, le spinte all’unità c’erano. Certo, c’erano e vi sono forze generose che da tempo si battono per questa prospettiva. Ma l’elemento concretamente - cioè politicamente - determinante per concretizzare la prospettiva dell’unità a sinistra, è stato la nascita del Movimento della Sinistra democratica. Esso non è un elemento in più nella costellazione delle forze che propendono per l’unità a sinistra. E’ invece il fatto politico senza il quale la prospettiva stessa dell’unità a sinistra sarebbe stata monca, parziale, forse politicamente impossibile.
In questo crogiuolo sono avvenuti i fatti politici più importanti per la sinistra italiana negli ultimi mesi: le lungimiranti aperture di Bertinotti, la faticosa costruzione di Sinistra Europea, il lavoro prezioso di varie associazioni, fra cui Sinistrarossoverde, per avviare le nuove fondamenta di un pensiero critico della sinistra come condizione per la sua unità, l’ampio dibattito politico nell’area storica dei socialisti italiani. Segnalo a questo proposito, al convegno promosso da Occhetto e dal Cantiere a Roma l’11 maggio, l’intervento positivo e unitario di Boselli.
Il giorno dopo il 5 maggio è apparso, da esponenti di altre forze di sinistra, qualche distinguo. Non c’è da stupirsi. C’è una spinta all’appartenenza e all’identità che non può essere snobbata. Ma c’è una contraddizione fra i tempi lunghi dei partiti e l’urgenza unitaria. C’è una grande attesa nella nostra gente. Se tale attesa fosse frustrata sarebbe un disastro. Ma l’urgenza deriva anche dalla situazione politica scivolosa e difficile. Se questa precipitasse con una sinistra ancora divisa, l’alternativa non sarebbe la vittoria di questa o quella identità preesistente, ma la marginalizzazione della sinistra italiana.
Occorre perciò, con pazienza e determinazione, avviare la costruzione di una comune appartenenza. L’identità storica di ciascuno è un fatto nobile ed ineliminabile. Ma non può essere vissuta come un’icona, separata dalla realtà, o come un’ancora di salvezza. L’ancora pesa, e in qualche caso può far affondare. Occorre lavorare per una nuova identità collettiva che sarà un di più, non un di meno delle precedenti e parziali identità.
Con la costituzione di Sinistra democratica si può avviare un processo che rompa l’incantesimo delle vecchie e nuove divisioni della sinistra italiana. Ma l’incantesimo si rompe solo se tutte le culture politiche si fanno protagoniste di una forte e radicale innovazione, non per nuovismo, ma perché è il mondo ad essere fortemente e radicalmente cambiato. E’ tornata la guerra, e sembra senza ritorno. Il lavoro salariato, per la prima volta nella storia, si è universalizzato. La contraddizione uomo natura sta esplodendo, dichiarando il fallimento dell’idea positivistica della sviluppo. Occorre un’idea alternativa e popolare. Chi, se non una sinistra unita e nuova la può costruire?
Per questo la possibilità dell’unità a sinistra non è nel sommare ciò che c’è, ma nel sintetizzare innovando. Ciò che c’è ha del buono, ma anche spinte alla divisione, propensioni alla nicchia, un modo di far politica che dobbiamo radicalmente cambiare. Non basta parlare di sinistra senza aggettivi. Occorre praticarla. L’errore più grave sarebbe parlare di unità e poi decidere chi ci deve stare, chi non ci deve stare, chi è ambiguo. Attenzione alle forme unitarie che sono solo la somma dell’esistente. Ci dev’essere un salto di qualità.
Si sta avviando una fase di transizione che va accelerata. Mi piace pensare a una prospettiva in cui si dia vita ad una formazione politica. Nominiamola: un nuovo partito che sia un partito nuovo, ove si cambino, rispetto al passato, riti e miti, regole e rendite di posizione. Suggestiona pensare al Congresso di costituzione del Psi a Genova nel 1892. Allora leghe, fasci, società di mutuo soccorso, partiti territoriali, operai, intellettuali, contadini, diedero vita a un partito nazionale che avviava l’idea del partito di massa, faceva della storia della sinistra un pezzo essenziale della storia dell’Italia e della sua unità, cambiava il rapporto fra popolo e politica. Certo, la storia non si ripete, né noi vorremmo ripeterla. Ma con partiti, pezzi di partiti, movimenti sindacali, associazioni di massa e d’opinione, cooperative, volontariato, intellettuali, persone in carne ed ossa, si potrebbe avviare un processo per qualche aspetto analogo.
E’ con questo spirito e con questa volontà politica che entriamo in Sinistra democratica. Portando con noi l’entusiasmo e la passione che abbiamo vissuto insieme a tanti altri il 5 maggio.
di GIANFRANCO PAGLIARULO
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