Bertinotti si accomiata dalla parola «comunismo», l'abbandona, non la cita più, e la sostituisce con «socialismo», definito «il possibile approdo» della sinistra alternativa. Per ora la svolta sta nelle bozze della sua rivista, Alternative per il socialismo, ma è chiaro che l'orizzonte è più ambizioso, che prima o poi a parlare non sarà più il «direttore» Bertinotti, ma il leader storico di Rifondazione. Solo che per arrivare al «possibile approdo» non vuole usare scorciatoie, «è necessaria un'operazione culturale che stia distante dalla quotidianità politica», ha spiegato il presidente della Camera alla sua redazione: «Altrimenti già lo vedo lo scontro tra apparati, la diatriba sugli organismi dirigenti... No, il progetto farebbe la fine del Partito democratico». Se Bertinotti ha deciso di fare il primo «strappo» attraverso le pagine del suo bimestrale, è perché vuole preparare il gruppo dirigente al distacco da una simbologia che costringe l'area radicale in un recinto angusto. Solo così potrà sfidare il futuro Pd, «ambire anche a superarlo nei consensi». Mentre progetta l'«Epinay» della sinistra alternativa, racconta di quando «poco più che ventenne fui chiamato a scrivere un pezzo sull'unità sindacale per la rivista di Lelio Basso, Problemi del socialismo». Non a caso il nome del nuovo periodico — che uscirà il primo giugno da Editori Riuniti — incrocia da una parte l'esperienza di Alternative, foglio culturale del Prc, e dall'altra richiama lo storico giornale di uno dei fondatori del Psiup. Parla del futuro usando insegnamenti del passato: «Noi siamo per il socialismo di sinistra, non saremo mai socialisti di sinistra». Ragiona sulla «crisi contemporanea della politica italiana» e la misura accostandola alla Francia, «perché la sera in cui ha vinto Nicolas Sarkozy, vedendo le immagini di place de la Concorde in tv, mi è venuta la pelle d'oca»: «Avete notato il suo gesto, la mano tesa a quella parte del Paese che non l'aveva votato e che era stata quindi sconfitta? Lì c'era il senso dello Stato». E certo nessuno a sinistra potrà dubitare di Bertinotti, «però ci sarà un motivo se Max Gallo è rimasto affascinato da Sarkozy». Insomma, in Francia c'è stata una rivoluzione, a destra. Lui vorrebbe farne una in Italia, a sinistra. Comincia con carta e penna, scrive dell'Europa sfruttandola come metafora. È vero, il presidente della Camera si sofferma sul «vuoto politico» nel Vecchio Continente, ma la sovrapposizione con i problemi nazionali è evidente. Accenna ai «conflitti di sistema», e scorge i limiti della rivolta nel 2005 delle banlieues francesi, «perché questo genere di proteste blocca la capacità degli oppressi di organizzarsi». Poi però, quando nella critica al capitalismo attacca «le classi dirigenti e gli economisti» che «badano solo alla crescita del Pil», si scorge un riferimento alla polemica italiana sul tesoretto, che sta dilaniando il centrosinistra. Come non bastasse, sostenendo che «la sfida radicale su lavoro e diritti sociali riguarda direttamente la politica e non solo il sindacato», Bertinotti avvisa che «per entrambi è in causa la loro stessa esistenza». Ed ecco che il caso italiano prende il sopravvento, sta nel passaggio in cui il «direttore» descrive l'avvento di «tentazioni neopopuliste», i processi di «spettacolarizzazione e personalizzazione» che «marginalizzano i partiti o li riducono a mero ruolo di supporto», mentre «avanza la centralità dei governi». Aveva promesso che sarebbe stato «per nulla ortodosso», e infatti non scarica solo sulla destra la responsabilità dell'antipolitica: «Anche a sinistra si manifesta una crescente propensione a mutarsi in antipolitica». Bertinotti non la demonizza però, dice che «vista la profondità della crisi, la rinascita della politica non potrà fare a meno di una certa dose di antipolitica». Ma a fronte di una «mutazione» della sinistra socialdemocratica, l'unica risposta dell'area radicale «per colmare il vuoto» sarà dare «un'adeguata organizzazione ai movimenti»: «Come sinistra alternativa in questi anni abbiamo investito nel movimento. Un'opzione che per un po' ha consentito di ridurre il vuoto della politica e forse anche il gap tra la società e la politica. Ora però l'andamento si è fatto più carsico», anche se «i movimenti non si sono esauriti». Ma questo «magma non può costituirsi in alternativa se non incontra la politica e un'adeguata organizzazione». Serve pertanto «un punto di partenza», che Bertinotti vede nel richiamo alla «questione del socialismo». Ecco lo «strappo». E sarà pure il «direttore» a scrivere, ma sembra già di sentire il discorso che verrà del leader storico del Prc. Bertinotti per ora si limita a fare i complimenti alla sua redazione: «Siamo riusciti a non citare mai Romano Prodi e Silvio Berlusconi». Se per questo, non è stato mai citato nemmeno il termine «comunismo». «Bene così, dobbiamo guardare avanti».
di FRANCESCO VERDERAMI dal Corriere della Sera del 19/05/07
di FRANCESCO VERDERAMI dal Corriere della Sera del 19/05/07
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